La smaterializzazione della cultura con l’avvento del digitale ci ha dato una straordinaria opportunità di condivisione, ma ha finito col rendere ancora più frenetiche le nostre vite conquistando ogni nostro spazio mentale. Non solo: ha messo in crisi la percezione di valore della produzione di cultura, proprio come l’agricoltura industriale ha fatto con la produzione di un cibo sano e genuino.
Cosa possiamo fare, dunque? Innanzitutto riflettere sul concetto di “cibo per la mente” e di come oggi ci si alimenti sempre più spesso di “fast news”, l’informazione ammaliante e a basso costo ma povera di idee e ricca di veleni verbali, e sempre meno di “slow news”, l’informazione lenta e meditata, che sceglie la complessità al posto delle polarizzazioni acchiappa-like. E quale modo migliore per comprendere la differenza che scoprire le affascinanti fasi di lavorazione, ancora in gran parte artigianali, di una delle poche riviste cartacee che ancora resiste, per provare a restituirci una “informazione bio”?

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